Quando la scienza è schiava dell’economia

Quando la scienza è schiava dell’economia
di: Agostino Di Ciaula
Vivo e lavoro nel mezzogiorno d’Italia e fuori da ambienti universitari, non ho accesso a fondi di ricerca, non ho finanziatori, non pubblico su commissione né su riviste a pagamento e la mia attività scientifica non mi dà da vivere.
Agostino Di Ciaula
Nonostante questo ho pubblicato circa 50 lavori scientifici su riviste internazionali “quotate” oltre a lavori su riviste nazionali, libri e capitoli di libro. Ho acquisito nel corso degli anni credibilità scientifica a livello internazionale, collaboro (sempre a titolo gratuito) con altri ricercatori nazionali e internazionali e sono revisore per conto di numerose riviste scientifiche. Certo, non vincerò mai il Nobel e probabilmente non pubblicherò mai su “Nature” ma mi sento privilegiato rispetto a molti che, non solo in Italia, fanno ricerca per campare. Questi sono spesso costretti a seguire non le linee di studio che veramente gli interessano ma quelle che portano soldi al proprio centro, a cercare non idee ma committenti, a fabbricare lavori per far progredire non la scienza ma la propria carriera e, in alcuni casi, persino a sconfinare nel conflitto di interesse.

Per fortuna non è sempre così ma è così spesso.
Lo Stato, che dovrebbe essere il grande garante del bene pubblico e del nostro futuro, ha stretto già da tempo i cordoni della borsa per quanto riguarda la ricerca scientifica, rendendosi garante di altro e per altri.
Per contro pubblico lavori sulle relazioni tra ambiente e salute e questo mi mette in una posizione molto scomoda, al centro non solo di un aspro dibattito scientifico ma anche del fuoco incrociato di interessi economici e politici. Mi crea ostacoli e difficoltà (anche di vita), mi espone a rischi e spesso mi fa trovare davanti a comportamenti scorretti e maliziosi. Un piccolissimo esempio di quello che sta accadendo, molto più in grande, nell’America di Trump, dove è in corso una vera e propria caccia alle streghe, con rappresaglie e tagli a mani basse rivolti a chiunque voglia occuparsi in maniera concreta di variazioni climatiche, di protezione dell’ambiente e di rapporti tra ambiente e salute.
Tutto questo accade perché anche la scienza è stata posta in posizione subalterna rispetto all’economia e, di conseguenza, alla politica.
L’indirizzo conclamato è ormai quello di studiare e ricercare, quando lo consentono, per produrre avanzamenti non tanto nelle conoscenze scientifiche quanto nel PIL. Non per conquistare nuove verità scientifiche ma per consolidare posizioni economiche e di potere.
In ambito medico si continua a credere che le malattie siano figlie della sfortuna, continuando ad ignorare la prevenzione primaria e i meccanismi con i quali gli effetti di quello stesso PIL ci stanno modificando il DNA e le sue modalità di espressione. Questo è stata la scienza a scoprirlo ma è l’economia ad ignorarlo.
Tutto questo ha effetti distruttivi non solo sulla scienza ma sull’intera umanità.
Tutto questo genera diffidenza e mancanza di fiducia sia nella scienza che nelle istituzioni, che ormai si parlano sempre meno, come avviene di solito tra chi comanda e chi ubbidisce.
Tutto questo, in ambito sanitario, spinge la gente a rifiutare percorsi terapeutici consolidati per rivolgersi a schifosi speculatori, ad attribuire maggiore autorevolezza ad un blogger o ad un venditore di fumo piuttosto che ad uno scienziato.
Tutto questo spinge a ricorrere all’autoritarismo ed agli scontri frontali, invece che all’autorevolezza e al dialogo.
Sarebbe opportuno fermarsi e interrogarsi su come abbiamo fatto per arrivare a questo punto e, soprattutto, cosa possiamo fare per uscirne.